Nel 1871, nella Lettera del veggente Arthur Rimbaud annuncia una nuova poetica: il poeta deve “farsi” veggente, deve coltivare la sua anima a prezzo di “ineffabili torture”, deve distruggerne l’ordine apparente e disintegrarla per ritrovare il caos. Il poeta è colui che attinge l’ignoto, il mistero, l’Assoluto. Il poeta possiede la parola e in questo consiste la sua sfida a Dio, il suo potere demiurgico. Nelle Illuminazioni Rimbaud conduce all’estremo la ricerca di un linguaggio atto a tradurre una disposizione visionaria e onirica. Lo sgretolamento delle forme poetiche è esasperato e il verso è sostituito spesso da una sorta di prosa poetica. Le Illuminazioni sono da considerarsi il suo capolavoro: esse appaiono come il risultato di ispirazioni diverse, con vortici di esaltazione e abissi disperati, confessioni di un’anima afflitta, non di rado accesa dalla droga.
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